Medioevo, mistero, realtà o fantasia?

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Sabato 20 agosto 2022 alle 17 nella chiesa di Santa Croce si inaugura la mostra “Passi di mille cavalieri – Storie del Medioevo” con oltre 100 opere tra pitture, sculture, ceramiche, acquerelli e alcune installazioni

…e se tu, poeta, figurerai una storia
colla pittura della penna,
el pittore col pennello la farà
di più facile sadisfazione
e men tediosa a essere compresa.

Leonardo da Vinci

Avigliana, 17 agosto 2022 – La mostra “Passi di mille cavalieri – Storie del Medioevo” espone oltre 100 opere tra pitture, sculture, ceramiche, acquerelli e alcune installazioni. Organizzata da Arte per voi con il patrocinio del Comune di Avigliana, sarà inaugurata sabato 20 agosto alle 17 nella chiesa di Santa Croce in piazza Conte Rosso, nel centro medievale di Avigliana. Si può visitare il sabato e la domenica dalle 16 alle 20 fino al 23 ottobre 2022.

Il Medioevo evoca atmosfere ricche di mistero, di fascino, di magia, che abbiamo visto in molti film o serie televisive. È una visione che ha dato origine alle saghe nate dalla fantasia di scrittori più o meno illustri come Tolkien con i suoi Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli, o Martin con la saga del Trono di spade, dove un Medioevo, più di immagine che reale, fa da sfondo a mondi e epoche lontane e, probabilmente, mai esistite. Si tratta, invece, di un periodo storico reale, misterioso solo perché poche sono le testimonianze, soprattutto scritte, che hanno permesso agli studiosi di ricostruirne i pezzi in maniera certa e scientifica.
C’è il Medioevo dei grandi nomi che troviamo nei libri di storia, e c’è quello degli sconosciuti, della gente comune, donne e uomini che hanno contribuito nell’anonimato a costruire il Medioevo quotidiano.

Quello che più affascina è racchiuso in talune leggende, che contribuiscono ad alimentare l’alone di mistero dell’epoca. Basti pensare a una delle più famose, La leggenda di Re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda, dove protagonisti sono i cavalieri, l’amore, la magia. Esseri magici e misteriosi si muovono in altre leggende: Melusina, fata o strega a seconda dei punti di vista; la masnada infernale o esercito furioso, processione rumorosa quanto un esercito formato da defunti, uomini e donne, macchiatisi in vita di peccati d’ogni genere, che si spostano a piedi o a cavallo, tormentati da demoni.

Nell’iconografia e nei testi letterari dalla metà del XIII secolo è presente il tema dell’Incontro (o Leggenda) dei tre vivi e dei tre morti, monito sulla vanità delle cose terrene che diventa costante nella morale cristiana e, soprattutto con l’arrivo delle crisi monastiche e delle epidemie del secolo XIV, si fa strumento di persuasione, giocando con maggiore o minore intensità sull’orrore della putrefazione delle carni, trattato con morbosità nelle immagini esposte alla visione delle persone. Immagini degne di un contemporaneo film dell’orrore.

Il Medioevo, oltre che di maghi, streghe, demoni e spettri, è ricco di simboli frequenti che possiamo ammirare e leggere, perché in un’epoca di analfabetismo imperante l’immagine fungeva da parola, nelle opere pittoriche, nell’architettura, in bassorilievi e sculture. Simbologia animale, suddivisa nei quattro elementi di acqua, aria, terra e fuoco: il pavone (l’immortalità), l’aquila (l’emblema solare per eccelenza), il maiale (l’impurità), la salamandra (il fuoco), le api (la diligenza e l’eloquenza), la colomba (l’anima, lo Spirito Santo), il gallo (la resurrezione). E altri ancora, più fantastici, come il drago o il basilisco.

Una foresta di simboli, ammonizioni, messaggi in cui donne e uomini medievali (e non solo loro) si trovano immersi, che sono obbligati a decodificare per scegliere il proprio cammino e non smarrirsi in una selva oscura.

Luisella Ceretta

Lui, lei e le altre

Per gli uomini dell’Alto Medioevo era del tutto naturale avere più mogli, contemporaneamente o in successione. Nell’aristocrazia, ogni sposa disponeva della propria dimora su uno dei possedimenti del marito e l’estrema dispersione geografica dei patrimoni impediva alle “rivali” di incontrarsi. Al palazzo, invece, accadeva spesso che la moglie dovesse subire la convivenza con donne di rango inferiore, serve o schiave, diventate concubine del signore. La poligamia dei potenti rispondeva all’esigenza di moltiplicare i legami sociali per consolidare le parentele e le alleanze politiche, ma serviva anche a contenere l’attività sessuale dei figli di famiglia entro i limiti di una certa morale.
In una società in cui gli uomini ritardavano fino all’età di trenta o quarant’anni il loro matrimonio legale, esistevano quindi delle unioni provvisorie, più o meno onorevoli e durature: la sposa di gioventù era per così dire una ragazza che, al momento opportuno, sarebbe stata sostituita dalla moglie ufficiale. Talvolta, però, il meccanismo si inceppava. Anni e anni di vita insieme, la nascita di figli creavano tra questi coniugi “a tempo” dei legami capaci di resistere al passare delle stagioni e alle logiche politiche o dinastiche. Così, alla metà del IX secolo, dopo pochi anni di un matrimonio infelice con Teutberga, il re franco Lotario II pretese non solo di divorziare per tornare a vivere con la sua amata Waldrada – la “sposa di gioventù” con la quale, in precedenza, aveva fondato una famiglia – ma addirittura di legittimare la loro unione.
Il caso, che per alcuni anni suscitò un comprensibile allarme nelle più alte sfere della Chiesa, fu risolto provvidenzialmente con la morte di Lotario, nell’869, senza che il suo matrimonio con Waldrade fosse stato riconosciuto valido.

Obbligo di astinenza

Beffeggiando uno sposo novello che non aveva dato il meglio di sé la sera delle sue nozze, Giovanni Boccaccio tratteggia con la sua vivace ironia il quadro piuttosto penoso di una sessualità coniugale invischiata nei precetti religiosi (Decameron,II,10).
Ecco quindi un ricco giudice pisano, messer Ricciardo di Chinzica che, avendo sposato “una delle più belle e delle più vaghe giovani” della città, non riuscì a consumare il matrimonio. Così, fin dall’indomani, pensò bene di nascondere le sue scarse abilità amatorie dietro un’intensa religiosità che gli imponeva la scrupolosa osservanza delle severe prescrizioni della Chiesa in materia di sessualità coniugale. Iniziò, così, ad insegnare alla giovane sposa un calendario di astinenza sessuale dovuto a numerevoli digiuni, vigilie di feste degli apostoli e di mille altri santi, più il venerdì e il sabato.

In questo modo, non senza grave malinconia della donna, concedeva i suoi favori forse una volta al mese. Ma durante una provvidenziale gita di pesca al largo di Livorno, la giovane fu rapita da un bel corsaro il quale, avendo perso il calendario dalla cintola, non ricordava quali fossero i giorni di astinenza. Fu così che il bel corsaro la iniziò con giovanile ardore ai piaceri dei sensi.
Il Boccaccio, come in tante altre sue novelle, opponeva allo squallore del matrimonio imposto, la spensieratezza delle passioni amorose di una sessualità liberata dai troppi divieti e controlli della Chiesa.

Donatella Avanzo, archeologa e storica dell’arte

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